Archivi categoria: Editoriale

Investire nei giovani per abbassare il rischio residuo

Mancano poche ore all’inizio della campagna “Accendi il tuo cuore per la ricerca”, promossa dalla Fondazione “per il Tuo Cuore” – HCF Onlus e coordinata dal prof. Attilio Maseri. L’obiettivo è “far conoscere ai cittadini la necessità di una nuova strategia di ricerca clinica per meglio personalizzare la terapia e la prevenzione delle malattie cardiovascolari” e di conseguenza raccogliere le risorse finanziarie per attivare specifici progetti di ricerca. Ogni cuore è diverso, soggetti con comportamenti virtuosi, con stili di vita corretti si ammalano lo stesso di infarto, mentre spesso osserviamo individui golosi, ipertesi e magari accaniti fumatori che campano meglio e più a lungo di altri più virtuosi? Perché, nelle medesime condizioni patogene e di rischio cardio-vascolare, certe persone si ammalano e altre no?

Per fortuna i numeri e le probabilità sono a favore di chi è corretto, ma purtroppo un gruppo sempre più grande sfugge alla regola. Perché succede questo. Deve esistere una diversità nella genetica che produce apparati cardiovascolari più esposti alle malattie o sussistono altri fattori di rischio, magari sotto gli occhi di tutti noi, che sono parte integrante del quotidiano e che sfuggono alla nostra osservazione. Si comincia a parlare di ambiente, di depressione, di comportamenti sociali del terzo millennio, ritmi lavorativi sempre più frenetici, riduzione delle ore di sonno, mancanza della netta differenziazione maschile e femminile in ambito familiare, minore attenzione nella crescita dei figli, perdita di valori e uso di droghe.

Un nuovo aggettivo si è unito al sostantivo rischio. In medicina adesso si parla dirischio residuo per quei soggetti che, pur trattati correttamente, continuano ad avere eventi avversi. Malgrado tutti gli sforzi, nell’ultimo decennio la curva di riduzione di questi eventi e della mortalità in particolare, ha subito un drastico rallentamento che, per le fasce d’età più giovanili, è risultato addirittura quasi un’inversione di tendenza (O’Flaherty M et al. Heart 2008;94:178-181 ). La comunità scientifica parla di un rischio intrinseco all’età con la previsione che la cardiopatia coronarica possa, nel terzo millennio, avere valore di epidemia. Si ipotizzano, come cause, una scarsa “compliance” della terapia e il mancato raggiungimento dei bersagli prefissati. Scenderanno in campo Task Force sempre più motivate ad enfatizzare ed abbassare i valori dei fattori di rischio tradizionali, colesterolo, pressione arteriosa, quasi che l’azzeramento possa impedire l’insorgenza delle patologie, senza considerare che una “vita senza colesterolo” creerebbe tante problematiche a livello psicologico per interferenza sui piaceri della tavola e del sesso. Forse meno infarti all’inizio, ma più tristezza quindi più depressione e di conseguenza altri infarti nel futuro.

Pochi si soffermano a scoprire le vere cause dell’aumento dell’obesità, del diabete, dell’insufficienza renale e soprattutto dei disturbi del comportamento, anche in termini relazionali, soprattutto tra i giovani. La mia idea è che nei prossimi decenni, malgrado tutti gli sforzi in termini di campagne di prevenzione, il rischio residuo aumenterà e saranno fasce di età sempre più giovanili a pagarne le conseguenze, forse perché oggi la società non investe nei giovani. Qualcuno li ha chiamati bamboccioni, altri mammoni, altri li definiscono delinquenti, privi di valori………….ma non ci rendiamo conto che nella nuova generazione stanno crescendo i disturbi del comportamento, da quello alimentare, a quello sociale, per perdita di ideali e di solidarietà, per enfatizzazione dell’effimero e dell’immagine. Aumenta il consumo di tabacco, di alcoolici e di stupefacenti. Più forma e meno sostanza. Aumenta il disagio, aumentano i disturbi della sfera psicologica. Perdono la voglia di emergere nei ruoli che noi riteniamo positivi e che nei quali non si riconoscono. Queste situazioni rappresentano un nuovo brodo di coltura nel quale gli agenti eziologi delle malattie e di quelle cardiovascolari in particolare, troveranno facile sviluppo. La colpa di tutto ciò non è solo dei ragazzi. Noi abbiamo grandi responsabilità e per paura della loro libertà non facciamo alcun investimento su di loro. Non diamo sicurezza a quei pochi che entrano nel mondo del lavoro e della ricerca in particolare. Risorse, responsabilità sono riservate ad una classe di anziani che vuol mantenere privilegi e potere, un esempio per tutti quello dei primari ospedalieri che pretendono di restare in servizio attivo sino ai 70 anni, se non oltre. Recentemente ho sentito affermare da un onorevole, non importa di quale schieramento politico, le malattie non sono di destra o di sinistra, che i giovani non vogliono prendere l’ascensore della salita sociale. Io credo che forse noi, da troppi anni, abbiamo fermato per manutenzione questo ascensore. Ma se l’ascensore è fermo, i giovani devono cominciare a salire, correndo per le scale, da soli.  Ciò sarà veramente difficile da impedire.

 

Riccardo Guglielmi 5 febbraio 2009

 

Inserito 16/02/2011

 

15/02/11,10:00, Novità in Cardiology a cura di Domenico Sommariva – Responsabile Editoriale WEB per il sito SISA
Il rischio cardiovascolare residuo
Fonte: www.sisa.it
E’ ben noto che la riduzione della colesterolemia si associ ad una diminuzione degli eventi cardiovascolari, meno nota, ma già ampiamente documentata è la possibilità che la terapia ipocolesterolemizzante ben condotta sia in grado di arrestare la progressione e portare anche alla regressione dell’ateroma. Su queste basi, le società scientifiche hanno stilato i principi per una corretta prevenzione delle malattie cardiovascolari, stabilendo dei valori desiderabili di colesterolo LDL variabili a seconda del profilo di rischio individuale. Per i pazienti a rischio molto elevato, il consiglio è di raggiungere un livello di colesterolo LDL di circa 70 mg/dL.
Tuttavia non tutti i pazienti che raggiungono gli obiettivi terapeutici suggeriti dalle linee guida internazionali, hanno un beneficio dalla terapia ipocolesterolemizzante. Nei tre più noti studi di terapia intensiva con statine, l’incidenza di eventi cardiovascolari è rimasta piuttosto elevata. Nel PROVE-IT-TIMI (1), a fronte di un livello medio di colesterolo LDL di 62 mg/dL, l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori nel periodo di osservazione è stata del 22,4%, nell’IDEAL (2) del 12,0%, con un livello medio di colesterolo LDL di 81 mg/dL e nel TNT (3) del 8,7% con un livello medio di colesterolo LDL di 77 mg/dL. Risultati significativamente migliori di quelli ottenuti con la terapia meno aggressiva, che già di per sé è notoriamente efficace, ma ancora insoddisfacenti. E’ certamente poco verosimile pensare di arrivare ad un rischio residuo uguale a zero, ma è invece realistico pensare di poter ridurre ulteriormente la probabilità di malattia con un’azione più incisiva sui principali fattori di rischio correggibili.
Oltre alla colesterolemia, ipertensione e diabete sono i fattori di rischio sui quali si è già sperimentato un approccio aggressivo, ma i risultati sono stati deludenti (4), come deludenti sono stati i tentativi fatti con antiossidanti o con il trattamento dell’iperomocisteinemia 5. Quanto alla proteina C reattiva, di cui si è tanto parlato, questa sembra più un marcatore di rischio che un fattore patogenetico e come tale è dubbio che un’azione mirata su di essa possa portare qualche beneficio. Le maggiori promesse per ridurre il rischio residuo sono ancora nel campo dei lipidi: colesterolo HDL e trigliceridi. Anche in corso di terapia con statine ambedue conservano un forte potere predittivo nei confronti degli eventi cardiovascolari 6, solo lo studio JUPITER tende a negarlo 7.
L’analisi di Bayturan e Coll., conferma che la strategia migliore per la prevenzione delle malattie cardiovascolari deve tenere conto non solo del colesterolo LDL che comunque rimane l’obiettivo principale della terapia, ma anche degli altri parametri lipidici. L’analisi è condotta sui dati di 7 studi prospettici che hanno coinvolto pazienti studiati con ultrasonografia intra-arteriosa (IVUS) per verificare l’impatto della terapia intensiva con farmaci ipolipidemizzanti, anti-ipertensivi, inibitori dell’acil:colesterol acil transferasi, ipoglicemizzanti orali, e antagonisti del recettori per gli endocannabinoidi sulla progressione dell’aterosclerosi coronarica. Studi tra loro molto diversi, ma che avevano in comune l’obiettivo della terapia ed il metodo di valutazione dell’evoluzione delle placche ateromasiche. Su una popolazione totale di 3.437 pazienti, 951 avevano nel corso del follow-up un livello di colesterolo LDL inferiore ai 70 mg/dL ed in 200 (21%) di questi si è osservata una progressione della malattia coronarica. Trigliceridi (121 mg/dL contro 111), pressione sistolica (131 mmHg contro 128), apo B (66 mg/dL contro 62) e colesterolo LDL (58 mg/dL contro 57) erano i parametri che differenziavano i pazienti con progressione da quelli senza progressione delle lesioni coronariche. Contrariamente all’atteso non viene riportata alcuna differenza significativa tra i due gruppi per quanto riguarda il livello di colesterolo HDL che comunque emerge come fattore protettivo indipendente all’analisi multivariata. Si può concludere che una volta raggiunto l’obiettivo terapeutico per il colesterolo LDL ci si debba rivolgere alla correzione dei livelli di colesterolo HDL e dei trigliceridi? Probabilmente sì, anche se non è chiaro come. I fibrati e l’acido nicotinico rimangono al momento i soli farmaci disponibili per ridurre i trigliceridi e per aumentare il colesterolo HDL, ma i fibrati non hanno ancora dato una prova chiara di un effetto protettivo sulle malattie cardiovascolari e l’acido nicotinico ha indubbiamente dimostrato la sua efficacia nel ridurre lo spessore medio-intimale delle carotidi 8, ma mancano ancora dati numericamente convincenti della sua influenza sugli eventi clinici.
Il colesterolo LDL però ritorna prepotentemente alla ribalta con un’ultima meta-analisi 9 che, in sintonia con il noto assioma “lower is better” dimostra che la riduzione del colesterolo LDL dai 70 mg/dL a valori intorno ai 50 mg/dL comporta un ulteriore significativo risparmio degli eventi cardiovascolari. C’è anche un altro attore che riprende la scena dopo varie vicissitudini che hanno prima sottolineato e poi demolito il suo ruolo predittivo nei confronti della malattia cardiovascolare: si tratta della lipoproteina (a), il cui livello potrebbe spiegare, almeno in parte, la probabilità di malattia cardiovascolare residua anche con livelli di colesterolo LDL nei limiti desiderabili 10. La misura della lipoproteina (a) è raccomandata nei soggetti a rischio intermedio e alto e, se il livello supera i 50 mg/dL, il suggerimento è di iniziare una terapia con acido nicotinico che si è dimostrato attivo nel ridurla.
Per una corretta definizione del rischio residuo e soprattutto per l’impostazione di un’adeguata terapia, i problemi aperti sono ancora molti. Per i pazienti ad alto rischio il raggiungimento di un livello di colesterolo LDL di 70 mg/dL forse non è sufficiente e bisogna spingere la terapia in modo da ottenere valori sostanzialmente più bassi. Magari sarebbe meglio utilizzare come parametro di riferimento al posto del colesterolo LDL, la concentrazione di apoproteina B che dà una stima più accurata del numero delle particelle LDL, secondo alcuni più significativo, per la valutazione del rischio, della concentrazione del colesterolo veicolato dalle LDL 11. Trigliceridi e colesterolo HDL sono sicuramente implicati nel determinare il rischio residuo e per loro va impostata una terapia specifica, una volta raggiunto il target delle LDL. Infine, attenzione alla concentrazione della lipoproteina (a), ben trattabile, se occorre, con l’acido nicotinico. Senza dimenticare naturalmente il controllo ottimale della pressione arteriosa e del diabete, l’abolizione del fumo e un corretto stile di vita.
Clinical predictors of plaque progression despite very low levels of low-density
Bayturan O, Kapadia S, Nicholls SJ, Tuzcu EM, Shao M, Uno K, Shreevatsa A, Lavoie AJ, Wolski K, Schoenhagen P, Nissen SE.
J Am Coll Cardiol 2010;55:2736-42
Altri commenti presenti sulla sezione SISAUpdate del sito della SISA:
•    Efficacia dei fibrati sugli eventi cardiovascolari: revisione sistematica e meta-analisi
http://www.sisa.it/
Commento a cura di: Carlo M. Barbagallo
•    Marcatori genetici e rischio cardiovascolare
http://www.sisa.it/
Commento a cura di: Livia Pisciotta
Bibliografia
1.    Cannon CP et al, Intensive versus moderate lipid lowering with statins after acute coronary sindrome. N Engl J Med 2004;350:1495-504
2.    Pedersen TR et al. High-dose atorvastatin vs usual-dose simvastatin for secondary prevention after myocardial infarction: the IDEAL study: a randomized controller trial. JAMA 2005;294:2437-45
3.    La Rosa JC et al. Imntensive lipid lowering with atorvastatin in patients with stable coronary disease. N Engl J Med 2005;352:1425-35
4.    Skyler JS et al. Intensive glycemic control and the prevention of cardiovascular events. Implications of the ACCORD, ADVANCE, and VA diabetes trials: a position statement of the American Diabetes Association and a Scientific Statement of the American College of Cardiology Foundation and the American Heart Association. J Am Coll Cardiol 2009;53:298 –304.
5.    Ciaccio M, Bellia C. Hyperhomocysteinemia and cardiovascular risk: effect of vitamin supplementation in risk reduction. Curr Clin Pharmacol 2010;5:30-6
6.    Carey VJ et al. Contribution of High Plasma Triglycerides and Low High-DensityLipoprotein Cholesterol to Residual Risk of Coronary HeartDisease After Establishment of Low-Density Lipoprotein Cholesterol Control. Am J Cardiol 2010;106:757-63
7.    Ridker PM et al. HDL cholesterol and residual risk of first cardiovascular events after treatment with potent statin therapy: an analysis from the JUPITER trial. Lancet 2010;376:333-39
8.    Villines TC et al. The ARBITER-6 HALTS Trial (Arterial Biology for the Investigation of the Treatment Effects of Reducing Cholesterol 6–HDL and LDL Treatment Strategies in Atherosclerosis). J Am Coll Cardiol 2010;55:2721-6
9.    Cholesterol Treatment Trialists’ (CTT) Collaboration. Efficacy and safety of intensive LDL-cholesterol-lowering therapy: A meta-analysis of data from 170 000 participants in 26 randomised trials. Lancet 2010; 376:1670-81
10.    Nordestgaard BG et al. Lipoprotein(a) as a cardiovascular risk factor: current status. Eur Heart J 2010;31:2844-53
11.    Brooks L Should LDL-Cholesterol Particle Concentrations Replace LDL Levels to Assess Risk? American Heart Association (AHA) 2008 Scientific Sessions

Malattie cardiovascolari e ricerca futura

Considerazioni dal congresso di Cardiologia e dintorni nei paesi adriatici

 

Il futuro della ricerca tra richezza e povertà di finanziamenti: servono risposte nuove

 

Le patologie cardiovascolari restano saldamente al primo posto come la principale causa di disabilità e morte, sia nei paesi occidentali che in quelli orientali, nonostante i grandi progressi della tecnica diagnostica, della rivascolarizzazione ed un crescente e diffuso ricorso ai farmaci. Statine, beta-bloccanti e terapie anti-ipertensive sono riuscite ad abbassare l’impatto emozionale che infarto e ictus hanno da sempre sulla popolazione, ma non ne hanno altrettanto abbassata la loro pericolosità. Alle malattie cardiovascolari è da imputare, infatti, il 50% delle morti nel mondo, contro un modesto 27% attribuibile ai tumori. Tradotte in numeri assoluti, queste percentuali corrispondono in Italia a circa 250 mila vittime all’anno, con un impressionante aumento della casistica femminile. Rappresentano la più alta voce della spesa sociale in termini di invalidità ed inabilità lavorativa. Alle malattie cardiovascolari il titolo e la conferma di essere considerate come i più temibili tra i grandi killer dell’età moderna.

E’ da questo dato drammatico e inequivocabile che il Prof. Attilio Màseri ha preso le mosse per lanciare il suo appello, suonato come un monito alle orecchie dei numerosi specialisti presenti, al convegno internazionale “Cardiologia e dintorni nei paesi adriatici”. Il convegno si è svolto recentemente, 12 settembre 2008,  nel Castello Carlo Quinto di Lecce sotto la presidenza del Prof. Alessandro Distante (Università di Pisa), che guida la sezione salentina dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR e l’Istituto Scientifico Biomedico Euro Mediterraneo (ISBEM) di Brindisi, grazie all’impagabile impegno della dott.essa Giuseppina De Benedittis e del Dott. Luigi Greco. Presenti numerose autorità civili e, per il direttivo dell’ANCE Paolo Teoni ed Enzo Romano.

Il calcio di inizio è stato dato dal Cardiologo di due Papi e della Regina Elisabetta, il Prof. Màseri. Bisogna domandarsi perché, nonostante i sempre più potenti mezzi di diagnosi e cura, si continua a morire tanto per  queste malattie. Bisogna  trovare le risposte. Sicuramente il fumo, l’eccesso di cibo, il sovrappeso e la vita troppo sedentaria giocano un ruolo importante in tutto ciò. Ma perché mai, come noi tutti abbiamo modo di verificare, ci sono individui golosi, ipertesi e magari accaniti fumatori che campano meglio e più a lungo di altri più virtuosi? Perché, nelle medesime condizioni patogene e di rischio cardio-vascolare, certe persone si ammalano e altre no?
La ricerca in cardiologia deve fare il salto di qualità e andare alla scoperta di cose nuove, non ancora scritte nei libri, che possono venir fuori solo dallo studio della biodiversità. Esistono, evidentemente, fattori di protezione, genetici, ambientali che producono le benefiche anomalie in grado di proteggere l’individuo. Il ricercatore del terzo millennio deve superare i paradigmi tradizionali, rinunciando alle soluzioni standardizzate e preconcette. Studiare la diversità significa partire dai casi paradossali,come quello di Winston Churchill, morto in età avanzata nonostante le sue pessime abitudini di vita, alcol e fumo. Non dimentichiamo i simili paradossi europei, quello francese più noto  e quello albanese meno noto. Si potrà osservare che si tratta di casi anomali, rari, estremi: sì, ma proprio per questo, utilissimi a far luce su meccanismi ancora ignoti e, quindi preziosi, per capire e trovare nuovi rimedi.

 

A questi concetti ha fatto eco Riccardo Guglielmi, che accanto alla ricerca istituzionale, università ed industria, ricca per finanziamenti pubblici e privati, può e deve sussistere anche laricerca povera, basata sull’osservazione, sull’analisi del quotidiano, su quanto avviene nei nostri ambulatori e nei nostri ospedali, da quelli di eccellenza a quelli zonali o di trincea. Ricerca è anche studio dei comportamenti e delle tendenze sociali, delle condizioni esterne, dell’ambiente. L’ambiente condiziona le specie animali e vegetali e l’individuo che nasce, si sviluppa, muore. Migliori sono le condizioni ambientali, migliore sarà la quantità di vita. Ma la vita merita anche qualità, un obiettivo che si può raggiungere, in principale modo, potenziando le capacità interiori dell’uomo. Ci sarà sempre maggiore bisogno nel futuro di  cultura, filosofia e quella sana spiritualità che genera valori, regole condivise, solidarietà. Benessere mentale come fattore crescita del potenziale di salute. La ricerca povera è semplice, non ha bisogno di alte tecnologie, ma ha un alto valore epidemiologico-statistico. Può essere effettuata nei nostri ambulatori specialistici, quotidianamente, dati gli alti numeri degli utenti. Obiettivo pratico, per esempio, la farmacovigilanza, l’analisi degli effetti collaterali dei farmaci e l’impatto delle nuove molecole in termini di “compliance”, efficacia ed affidabilità. L’osservazione sarà il data base per le analisi delle diversità. Quest’alta mole di dati epidemiologici può diventare il punto di partenza per ulteriori ricerche di livelli superiori e può notevolmente servire per creare dei modelli in termini gestionali, anche per tutti gli utenti che afferiscono nei nostri ambulatori e ospedali. La ricerca povera ha anche una ricchezza nascosta. Si trasforma in gestione delle patologie territoriali,  qualità dei servizi,  pieno soddisfacimento dei bisogni dell’utenza.

 

Alle parole devono seguire i fatti, ponendosi degli obiettivi raggiungibili, per non incorrere in facili criticità.  Creare una comunità scientifica di qualità che richiami ricercatori anche da altre sedi. Carriere definite e certe. Dedicarsi alla ricerca non dovrà generare il dubbio della sopravvivenza. Maggiore integrazione Ospedale –  Territorio – Centri di Riferimento.

Per raggiungere questi obiettivi bisogna avere il coraggio di investire sui giovani. La scuola ed ancor peggio l’attuale Università, rimangono lontane dalla realtà. Nozionismo, programmi obsoleti, frammentarietà di corsi, difficoltà continue didattiche e burocratiche, strenua difesa del nepotismo ed apparente rigore solo su chi è debole, lo studente. A quest’ultimo si chiede molto in termini quantitativi e qualitativi, generando illusione su un futuro che l’attuale realtà non mostra di essere roseo. Sicuramente d’importanza primaria sarà, per coloro che sono inseriti nel sistema, aggiornarsi continuamente e al meglio su novità, protocolli, linee-guida, conoscenza dei trattamenti in centri di eccellenza, per essere sempre più vicini alle nuove esigenze dei pazienti e per poter offrire le migliori e più moderne prestazioni. I fondi per la ricerca e sviluppo del meridione dovranno evitare la fuga delle risorse umane  e i viaggi della speranza.

 

La strategia vincente sarà  investire su quei giovani, preparati, pronti a sacrifici e rinunce, che vogliono fare ricerca scientifica. Le Regioni e lo Stato devono concretamente aiutare e valorizzare questo enorme patrimonio di risorse umane rappresentato dalla generazione sotto i 40 anni. I giovani italiani vogliono far ricerca (il 4% è rimasto in Italia, il 25% ha scelto la Gran Bretagna). Gli Istituti di Credito, commercializzando titoli spazzatura, hanno creato ricchezza in pochi, povertà in molti. L’appello è che invertano la tendenza con investimenti e finanziamenti su progetti di ricerca. Nel rinascimento l’arte, l’architettura erano finanziate da privati mecenati, dalla chiesa e dai locali istituti di depositi e crediti. Allora era una scommessa l’investimento sugli artisti e sugli architetti, oggi è nostro un patrimonio culturale unico al mondo. La genetica, l’astrofisica sono le attuali punte di diamante. Ambiente e medicina non dovranno essere da meno. Noi non dobbiamo aver paura della libertà dei ragazzi. I migliori dimostrano di saper gestire la loro indipendenza. La conclusione è dobbiamo recuperare la nostra antica capacità di attrazione culturale se non vogliamo diventare soltanto l’appendice turistica dell’Europa.

ricercatore

Bari 8/12/2008