Sabato 14 aprile 2012 il cittadino italiano comune, la comunità scientifica e tutti gli operatori del mondo dello sport, calcio in particolare, tra incredulità e stupore, hanno percepito quanto sia imprevedibile, insufficiente ed effimera la sicurezza nell’ambito della pratica dell’attività sportiva. Tutti si sono chiesti come un giovane, un ragazzo di soli venticinque anni, un atleta professionista che riceve giudizi positivi d’idoneità nei numerosi controlli medici, cada al suolo e muore, in diretta televisiva, sebbene i soccorsi prestati.
Passato lo stupore, ascoltati i numerosi pareri di qualificati medici intervistati, specialisti in cardiologia e medicina dello sport, è necessario fare delle riflessioni affinché non risulti vana la morte di un ragazzo e che, quando saranno spente le luci della ribalta mediatica, non si cada nell’oblio o peggio nella rassegnazione della fatalità o della cattiva sorte.
La morte improvvisa, per la maggioranza dei casi secondaria a grave aritmia, tachicardia o fibrillazione ventricolare, è un’evenienza frequente, statisticamente ridotta in modo significativo negli ultimi decenni grazie all’invio precoce nell’ospedale, alle unità di terapia intensiva cardiologica, alle tecniche di rianimazione e di emodinamica interventista. Ridotta la mortalità intraospedaliera molto resta da fare nella fase precedente al ricovero e sul territorio.
Una morte improvvisa di origine cardiaca è anche mentalmente accettabile nell’adulto, in coloro che hanno fattori di rischio coronarico, ma mai sarà accettata nel giovane ed in modo particolare in chi pratica attività sportiva agonistica. Lo sportivo è, per luogo comune, identificabile in un soggetto esente da patologie, e specie nel mondo del calcio professionistico, rappresenta un’icona di bellezza, forza e successo. Nello sportivo vediamo solo gli aspetti positivi che spesso invidiamo. Il vero tifoso è portato a mettere sul podio l’atleta e lo vuole vedere sempre forte e vittorioso. Non ci scandalizziamo della corruzione del politico mentre condanniamo tutte le forme di corruzione degli operatori sportivi. Accettiamo la malattia o l’evento avverso nella vita normale, mai nello sport.
L’Italia dal 1982 si è dotata di una legislazione per l’attribuzione dell’idoneità sportiva per chi pratica attività sportiva agonistica. Esiste un obbligo di certificazione, con validità annuale, che prevede protocolli diagnostici specifici per il tipo di sport praticato. I presidenti delle società sportive sono tenuti all’obbligo di far sottoporre gli atleti, all’atto del tesseramento, ai giudizi d’idoneità. Oltre ai medici certificatori le società devono affidare la salute degli atleti ai medici sociali. Questa potrebbe già essere la prima criticità. Mentre i medici certificatori sono esclusivamente specialisti in Medicina dello sport, molti dei quali sono supportati anche da cardiologi esperti in cardiologia dello sport, i medici delle società non sono necessariamente specialisti del settore. Purtroppo, specie al Sud, l’inosservanza di tale obbligatorietà rappresenta circa il 50% dei tesserati nelle società sportive.
Se la legislazione è rigorosa nel campo dell’agonismo, nella grande fascia degli amatoriali, dei non agonisti, che rappresenta la maggioranza, la certificazione, quando richiesta, è affidata al medico di famiglia o di fiducia. Tale certificazione è, nella maggioranza dei casi, rilasciata senza l’esecuzione di alcuna diagnostica di base, per esempio, un elettrocardiogramma. L’esercizio fisico ha permesso una riduzione della morte improvvisa di circa il 90% tra gli atleti, mentre è rimasta invariata, un caso su mille, in chi non pratica sport. L’introduzione dell’obbligo dell’esecuzione dell’ECG ha portato una riduzione del 50% di morte improvvisa nei giovani. In un mondo di ipertecnologia basta la visita clinica e l’elettrocardiografia? Questa è stato l’argomento di numerosi dibattici. La risposta è che sono indispensabili in un’applicazione di massa.
L’anamnesi è importantissima, specie quella familiare, per mettere a fuoco casi di morti improvvise o in giovane età, nei parenti diretti. L’anamnesi personale per la malattia reumatica. Un esame clinico accurato può evidenziare patologie sistemiche nelle quali si associano malformazioni cardiache, per esempio la sindrome di Marfan o di Ehler-Danlos. Un’accurata auscultazione cardiaca permette di diagnosticare patologie a carico delle strutture valvolari. Anche il sospetto di miocarditi o pericarditi non sfugge al clinico esperto. Il semplice ECG di base ci indirizza in malattie che sono causa di morte improvvisa come la preeccitazione ventricolare e le canalopatie, tipo la sindrome di Brugada, la sindrome del QT lungo o del QT corto. Il Prof. Richard Langhendorf, negli anni settanta, faceva ricerca, scriveva libri e diagnosticava aritmie complesse leggendo l’elettrocardiogramma di base, servendosi di un righello e di un compasso.
La ricerca in questi anni ha fatto grandi progressi, grazie all’intelligenza ed alle capacità dei nostri ricercatori, nonostante le sempre continue riduzioni di fondi. Ma questo non basta. Dobbiamo investire nella ricerca e supportare adeguatamente i nostri validi ricercatori se vogliamo la ripresa dello stato. Cultura come volano di crescita. Nel nostro genoma, il nostro patrimonio genetico, sono scritte le cause delle malattie cardiovascolari che spesso sono alla base della morte improvvisa. La cardiologia è nella fase della ricerca ultrastrutturale e molecolare. Dobbiamo studiare i geni, gli alleli, i cromosomi umani. I test genetici devono essere più accessibili all’utenza potenziando i laboratori di genetica clinica. In Puglia non siamo messi beni. Esistono laboratori che sono centri di eccellenza per la mucoviscidosi, per le patologie emocoagulative, per la trisomia 21, ma non per la genetica cardiovascolare. In casi sospetti di Brugada o di altra canalopatie, di Displasia aritmogena a genitori giustamente preoccupati non resta altro che il solito viaggio della speranza a Milano, Pavia, Padova. La ricerca indirizzata alla genetica ed alla biodiversità permetterà di portare alla luce nuove patologie che sono spesso la causa di eventi avversi in cuori apparentemente sani.
Un corretto controllo di massa deve far indirizzare all’esecuzione di altre indagini di secondo livello. L’ecocardiogramma deve essere eseguito nei bambini e nei giovani. Almeno una volta nei primi dieci anni deve essere eseguito un ecocardiogramma, esame semplice ed incruento, per evidenziare patologie come il prolasso della mitrale, l’aorta biscuspide o la miocardiopatia ipertrofica. In chi è più avanti nell’età, negli amatoriali con più di trentacinque anni, sempre test da sforzo massimale al cicloergometro, indipendentemente se trattasi di sport agonistico o non agonistico.
Sarebbe auspicabile un maggior numero di centri pubblici di Medicina dello sport, ma l’attuale congiuntura economica non credo possa favorire scelte politiche in tal senso. Allora dovendo fare i conti con le scarse risorse potenziamo almeno quelli esistenti. E’ indispensabile la presenza dello specialista cardiologo che abbia competenza specifica. Il cardiologo dello sport deve avere esperienza clinica per assicurare l’appropriatezza prescrittiva delle indagini di approfondimento, senza mai cadere nella trappola della medicina difensiva. La competenza del cardiologo dello sport eviterà l’aumento dei costi di gestione e di esercizio delle unità operative, permetterà di avvicinarsi il più possibile ad uno standard di qualità, ai fini dell’emissione di un giudizio corretto circa lo stato di salute e dell’idoneità del cittadino atleta. Portare la certificazione a due anni in chi, per altri motivi, ha eseguito indagini cardiologiche di secondo livello, potrebbe far ridurre i costi sociali della visita di idoneità sportiva gratuita sino ai diciotto anni di età. Un ulteriore margine di qualità potrebbe essere dato dalla firma congiunta del cardiologo e del medico dello sport nel giudizio di idoneità.
L’attività sportiva da anni è considerata un farmaco, non a caso una task force formata dalle più importanti società scientifiche di cardiologia e medicina dello sport, ha pubblicato nel 2010 i protocolli della prescrizione dell’esercizio fisico nelle diverse patologie cardiovascolari e, come per tutti i farmaci, la prescrizione deve prevedere una giusta e personalizzata posologia.
L’eccesso può dare effetti tossici. Potremmo spiegarci anche così l’evento avverso da sport rapportandoci a quanto succede dopo un infarto del miocardio.
Il cuore colpito da infarto, cioè da necrosi di tessuto muscolare, comincia già dai primi giorni a rimodellarsi, adattando la sua geometria alla cicatrice connettivale che sostituisce il muscolo distrutto. Carichi di lavoro intensi, predisposizione individuale, ecco l’importanza della ricerca genetica e molecolare, alterando la geometria delle camere cardiache, gli spessori delle pareti e forse favorendo anche il processo di apoptosi, cioè di autodistruzione cellulare, possono creare delle zone “grilletto”, responsabili dell’insorgenza delle aritmie. Anche questa potrebbe essere causa di eventi avversi nello sport.
Qualcuno potrebbe chiedersi se anche l’infarto è una malattia genetica. Non è dimostrata l’esistenza di uno o più geni che sono responsabili direttamente dell’infarto. Esiste la predisposizione familiare, ma la genetica è responsabile della presenza dei fattori di rischio cardiovascolare tipo l’ipercolesterolemia etero ed omozigote, l’ipertensione arteriosa essenziale, le alterazioni delle lipoproteine e del fibrinogeno.
Altra questione è l’implementazione dell’uso del defibrillatore. La defibrillazione preospedaliera dovrà avere maggiore implementazione. Un defibrillatore semiautomatico deve essere presente nei luoghi affollati, dal cinema al supermercato ed in particolare, in tutte le sedi, dove si svolgono le gare e le manifestazioni sportive. L’80% delle morti improvvise, in ambito sportivo avviene durante la gara e non nell’allenamento, a dimostrazione del ruolo dello stress da competizione nella genesi delle aritmie pericolose. Una semplice manovra servirebbe a salvare la vita di un giovane. La defibrillazione non è detto che debba essere eseguita esclusivamente da un medico. Addestriamo un sempre maggior numero di operatori laici ed implementiamo anche il concetto di formazione ed addestramento periodico. I soggetti abilitati alla defibrillazione devono obbligatoriamente addestrarsi continuamente, magari frequentando le terapie intensive cardiologiche, proprio come i militari e gli operatori delle forze dell’ordine che periodicamente devono frequentare il poligono. Si eviterebbero così le tensioni, i momenti di panico che un arresto cardiaco può determinare in chi è presente. La simulazione accademica non sarà mai uguale alla realtà. Cultura e formazione per il buon esito della catena della sopravvivenza in caso di arresto cardiaco.
Saggia è stata la decisione, non importa se da taluni contestata, di sospendere per una giornata le gare dei campionati di calcio. E’ servita per riflettere, per stimolare la classe medica a un maggiore rigore nei controlli, ai politici per investire nella ricerca e nella prevenzione, ai genitori dei piccoli atleti e a tutti coloro che praticano attività sportiva, indipendentemente da essere agonisti o non, ad una maggiore attenzione per la propria salute anche quando il Servizio Sanitario Nazionale non offre la gratuità di alcune prestazioni mediche. Solo così la morte che ha strappato la vita ad un giovane calciatore professionista il 14 aprile del 2012 non sarà stata vana.