Gli italiani preferiscono chiamare i propri farmaci con un nome. Per anni la nostra fantasia si è adoperata per etichettare un medicamento con un nome di semplice identificazione. Sinonimi di forza, spesso in latino, per i vitaminici, vezzeggiativi per gli antibiotici, diminuitivi o additivi per i dosaggi ridotti o potenziati ne hanno favorito il commercio e la vendita. Nomi tanto fantasiosi e facili da ricordare, usati spesso per l’autoprescrizione o il “fai da te”. E’ facile l’accostamento al “chiamami per nome e sarò il tuo farmaco”. Viviamo in recessione e anche la fantasia ne fa le spese.
Una recente ricerca del Censis, realizzata per Farmindustria sull’impatto della prescrizione con principio attivo sulla qualità delle cure, dimostra che il 57,6% degli italiani riconosce i farmaci che assume dal nome commerciale, solo il 7,6% tramite il nome del principio attivo e quasi il 35% attraverso entrambi. Vi è poca differenza percentuale tra giovani e anziani, genere, o nord e sud. Il nome commerciale è un importante fattore indicativo, anche se esiste la consapevolezza dell’esistenza di un farmaco equivalente, identificato con il nome della molecola, di costo inferiore. Gli anziani sono più informati sull’esistenza di farmaci a costo minore.
La certezza dell’identificazione induce il cittadino a pagare una piccola differenza per il farmaco “griffato”. Il 45% degli italiani, specie l’anziano o l’utente in pessimo stato di salute, preferisce pagare un ticket maggiorato e ricevere un farmaco di marca piuttosto che quello fornito dal Servizio Sanitario, con lo stesso principio attivo, ma a un costo inferiore. Oltre al nome, un importante aspetto identificativo è dato dalla forma e dai colori della confezione o della pillola.
Nel 30% del campione in generale e nel 39% degli anziani, è alto anche il rischio di confusione in caso di consegna, in farmacia, di un medicinale contenente lo stesso principio attivo ma con una confezione diversa o con un nome differente.
Rimane alta la fiducia del paziente nei riguardi del medico. Il cambiamento è accettato nel 61% se proposto dal medico di fiducia, mentre scende al 16% se il proponente è il farmacista, mentre il 22% è contrario a qualsiasi cambiamento. E’ il medico, l’unico garante del cambiamento.
Il 77,4% degli italiani dichiara di essere a conoscenza che il medico di famiglia deve indicare sulla ricetta il nome del principio attivo. Quasi il 63% è ben informato che, in caso di patologia cronica, il curante può continuare a prescrivere il farmaco con il nome commerciale. Sono più informati gli anziani rispetto ai giovani, le donne rispetto agli uomini. Il 66,7% dichiara di aver già sperimentato la modalità della prescrizione con principio attivo.
E’ avvertita da tutti un’eccessiva pressione economica, voluta dall’alto, sulle scelte prescrittive a causa delle manovre di bilancio. Oltre il 47% ritiene l’attività prescrittiva dei medici negli ultimi dodici – diciotto mesi, condizionata dal fattore economico, il 36,4% la ritiene inalterata, il 6,2% diminuita, mentre il 10% non ha opinioni al riguardo. D’altro canto, per il 77%, esiste l’esigenza di ridurre la spesa pubblica per i farmaci e il 61% ha avvertito un aumento della spesa di tasca propria per l’acquisto di farmaci.
L’uniformità della prescrizione, oltre alla perdita di posti di lavoro per gli addetti al settore, cozza con la consuetudine e la personalizzazione del rapporto dei cittadini con il farmaco. Siamo da sempre abituati a prendere una medicina, spesso quotidiana, resa riconoscibile dal nome commerciale, dalla confezione, dalla forma. Anche il colore ha la sua importanza. Infatti, basta dire la pillola blu e tutti capiscono di che si tratta.
Bari 2 dicembre 2012