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La demenza diventa sempre più giovane

Aumentano i casi tra 35 e 60 anni

Dai genitori ereditiamo anche l’Alzheimer. I figli possono ereditare da uno dei genitori la parte di Dna che genera la malattia, di un esordio tra i 35 e i 60 anni di età

La malattia di Alzheimer  è la forma più comune di demenza degenerativa che colpisce in modo progressivo le strutture cerebrali. I soggetti più a rischio sono gli anziani, ma si assiste a un incremento nell’insorgenza delle forme nei giovani. Il 5-10% di tutti i casi riguarda persone al di sotto dei 65 anni con esordio tra i 35 e i 60 anni di età.

«Il primo campanello d’allarme – spiega Salvatore Cuzzocrea, professore ordinario di Farmacologia all’Università di Messina – è la compromissione della memoria episodica a breve termine.  Dobbiamo imparare a conoscere i sintomi nella forma precoce. Altro segno è l’individuazione e la percezione degli oggetti. In questo contesto risulta quindi molto importante una diagnosi precoce, con la possibilità di aprire a trattamenti farmacologici in grado di ritardare l’esordio della malattia».

Evidenze scientifiche dimostrano associazione tra malattie neurodegenerative e l’infiammazione che porta alla perdita di cellule neuronali. Sostanze tossiche, citochine, chemochine e relativi processi molecolari, determinano attivazione di microglia, astrociti e mastociti del sistema nervoso centrale. L’attivazione di questo pool di cellule non-neuronali rappresenta la vera causa del danno degenerativo a carico del neurone. Se a questo aggiungiamo stili di vita non corretti, sostanze tossiche compresi gli inquinanti, ambientali e alimentari, ecco servite le condizioni ideali per lo sviluppo dei processi neuro infiammatori alla base dell’insorgenza di malattie come Alzheimer e Parkinson in soggetti giovani.

Bari 02.11.2019

20 articolo 2019

Fonte : https://www.corrierepl.it/2019/11/02/la-demenza-diventa-sempre-piu-giovane/?fbclid=IwAR23sTHGw3-b2B0971-DRX80pEzKD45ea8-Uf5PdAZN9juU09ZVG1IDG8P0

 

Cervello più attivo se corri

runner

Connesso e multitasking da giovani, meno Alzheimer e Parkinson da vecchi. Ricercatori dell’Arizona evidenziano i vantaggi della corsa sulle connessioni neuronali

La corsa non fa bene solo al cuore, anche il cervello se ne avvantaggia. Scienziati americani dell’Arizona hanno dimostrato e pubblicato su Frontier Human Neuroscience, che lo sport tutto muscoli e resistenza aumenta nei giovani le connessioni cerebrali, proprio come i movimenti piccoli e accurati dei musicisti; un invito a continuare per tutti i runner e a iniziare per i più pigri. Inserire lo sport nello stile di vita aiuta a prevenire le fisiologiche défaillance mentali dell’invecchiamento e il rischio di malattie degenerative.

Le neuroscienze avevano riconosciuto alle attività contraddistinte dal controllo di movimenti accurati, piccoli e precisi, la capacità di modificare il cervello. Solo le azioni dosate e coordinate erano ritenute le uniche ad aumentare la connettività funzionale di distinte aree cerebrali e a mantenerle correlate nel tempo. L’attività motoria del golf, tennis, danza e musica, per i gesti puliti e controllati, era ritenuta più idonea allo sviluppo di capacità intellettuali. La corsa, di per sé ripetitiva e monotona, priva di virtuosismi o del minuzioso dominio di gesti piccoli, non avrebbe potuto modificare il cervello. Per il corridore è più importante quanto si corre non come si corre.  Sono stati questi paradigmi a limitare per anni la ricerca tra sport di resistenza e cervello. Lo studio di David Raichlen, antropologo ed esperto di corsa, e Gene Alexander psicologo e studioso di Alzheimer ha ribaltato queste convinzioni, dimostrando che anche l’attività sportiva basata esclusivamente su velocità e resistenza coinvolge le funzioni cognitive complesse di molte aree cerebrali, le stesse che, durante la vecchiaia, subiscono processi d’involuzione e sono più esposte a malattie neurodegenerative, Alzheimer e Parkinson.

Nello studio sono stati arruolati giovani tra i 18 e i 25 anni, simili per indice di massa corporea e livello d’istruzione, ma differenti per stile di vita. Un gruppo si allenava costantemente con corse di lunga durata, mentre l’altro non faceva alcuna attività fisica. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a risonanza magnetica cerebrale in condizioni di assoluto riposo. Nel cervello dei runner sono presenti maggiori aree di connessioni, come nella corteccia frontale, sede di funzioni cognitive e della capacità di spostare l’attenzione rapidamente da un compito a un altro. Le conclusioni sono incoraggianti, ma è troppo presto per affermare che il cervello dei corridori è più connesso e più multitasking. Questa ricerca focalizzata sui giovani ha sfatato il paradigma che la corsa è solo un’ottima ginnastica cardiovascolare. Nell’immediato futuro sarà studiato il rapporto tra l’attività fisica praticata in giovane età e il funzionamento del cervello quando si sarà più avanti negli anni. L’invito è rivolto ai sedentari: l’anno è da poco iniziato e tra i buoni propositi inseriamo l’attività motoria. Indipendentemente dagli studi ufficiali cuore e cervello diranno grazie.

Riccardo Guglielmi, pubblicista scientifico de Il Corriere Nazionale

redazione@corrierenazionale.net

Bari 24 gennaio 2017- Rubrica NOI E LA SALUTE

6 articolo http://www.corrierenazionale.net/index.php/41-noi-e-la-salute/2513-cervello-piu-attivo-se-corri

TAG: cervello, neuroscienze, corsa, Alzheimer, Parkinson